Da salvatori della patria a vigliacchi. La parabola dei Della Valle alla guida della Fiorentina si conclude con i fratellini nascosti come topi per evitare la contestazione nell'ultima gara di campionato contro il Genoa.
La colpa è naturalmente del clima ostile nei loro confronti, come se tale clima non fosse figlio dei loro comportamenti e delle loro dichiarazioni. Ma si sa, per loro la colpa è sempre di altri, dei tifosi, degli allenatori, dei giornalisti, delle istituzioni, di tutti coloro che dovrebbero solo mostrare gratitudine a tali mecenati senza i quali il calcio a Firenze sarebbe ormai un lontano ricordo. Questo almeno secondo la loro spocchia che, unita in modo pericoloso, ma forse inevitabile, a una grande permalosità, ha finito per renderli indigesti a chiunque non sia affetto da servilismo e possa invece valutare in modo oggettivo il loro operato. Che sarebbe più corretto chiamare modus operandi perché i fratellini, troppo snob e presuntuosi per mischiarsi in faccende plebee, con il rischio oltretutto di rimediare brutte figure, si sono sempre limitati a proclami a distanza delegando ad altri la gestione della Fiorentina.
Il loro fondamentale errore è stato infatti quello di dare carta bianca a un contabile, Cognigni, totalmente estraneo a questioni calcistiche e a un direttore sportivo, Corvino, che ha mirato sempre e solo al proprio tornaconto personale (vedi rapporti con Ramadani). Non è un caso che dalla riassunzione di quest'ultimo, nel maggio del 2016, la Fiorentina sia caduta in una spirale negativa che ha rischiato di portarla in Serie B. La retrocessione non è arrivata, ma sono stati comunque tre anni frustranti nei quali la proprietà ha tentato in tutti i modi, riuscendoci, di uccidere i sogni, la passione, le emozioni senza le quali il tifo non ha ragione di essere.
Ciò che si imputa ai Della Valle non è non avere investito abbastanza denaro, ma le continue prese in giro, le promesse mai mantenute, la comunicazione pessima con totale assenza di spiegazioni chiare su decisioni spesso incomprensibili, il modo dilettantesco col quale sono state gestite innumerevoli situazioni, la palese mancanza di programmazione. Il tutto senza che ci siano mai stati una minima autocritica, un briciolo di umiltà; solo sermoni autoincensanti ed ipocriti il cui unico scopo era ribadire la differenza tra padroni e clienti, tra chi con infinita bontà e a costo di immani sacrifici aveva riportato Firenze nel calcio che conta e coloro che avrebbero dovuto solamente chinare il capo e mostrare eterna riconoscenza.
Si chiudono così 17 anni di buone intenzioni, ma solo a parole, e nessun titolo. Non poteva essere altrimenti perché quando c'è stata la possibilità, se non di vincere qualcosa, almeno di provarci, la proprietà ha agito in modo quasi chirurgico per evitarlo, preferendo, in nome del fairplay finanziario e delle plus valenze, regalarci apatia piuttosto che speranze. Le stesse speranze che sentiamo di poter nuovamente cullare in questo momento, finalmente liberi.
La colpa è naturalmente del clima ostile nei loro confronti, come se tale clima non fosse figlio dei loro comportamenti e delle loro dichiarazioni. Ma si sa, per loro la colpa è sempre di altri, dei tifosi, degli allenatori, dei giornalisti, delle istituzioni, di tutti coloro che dovrebbero solo mostrare gratitudine a tali mecenati senza i quali il calcio a Firenze sarebbe ormai un lontano ricordo. Questo almeno secondo la loro spocchia che, unita in modo pericoloso, ma forse inevitabile, a una grande permalosità, ha finito per renderli indigesti a chiunque non sia affetto da servilismo e possa invece valutare in modo oggettivo il loro operato. Che sarebbe più corretto chiamare modus operandi perché i fratellini, troppo snob e presuntuosi per mischiarsi in faccende plebee, con il rischio oltretutto di rimediare brutte figure, si sono sempre limitati a proclami a distanza delegando ad altri la gestione della Fiorentina.
Il loro fondamentale errore è stato infatti quello di dare carta bianca a un contabile, Cognigni, totalmente estraneo a questioni calcistiche e a un direttore sportivo, Corvino, che ha mirato sempre e solo al proprio tornaconto personale (vedi rapporti con Ramadani). Non è un caso che dalla riassunzione di quest'ultimo, nel maggio del 2016, la Fiorentina sia caduta in una spirale negativa che ha rischiato di portarla in Serie B. La retrocessione non è arrivata, ma sono stati comunque tre anni frustranti nei quali la proprietà ha tentato in tutti i modi, riuscendoci, di uccidere i sogni, la passione, le emozioni senza le quali il tifo non ha ragione di essere.
Ciò che si imputa ai Della Valle non è non avere investito abbastanza denaro, ma le continue prese in giro, le promesse mai mantenute, la comunicazione pessima con totale assenza di spiegazioni chiare su decisioni spesso incomprensibili, il modo dilettantesco col quale sono state gestite innumerevoli situazioni, la palese mancanza di programmazione. Il tutto senza che ci siano mai stati una minima autocritica, un briciolo di umiltà; solo sermoni autoincensanti ed ipocriti il cui unico scopo era ribadire la differenza tra padroni e clienti, tra chi con infinita bontà e a costo di immani sacrifici aveva riportato Firenze nel calcio che conta e coloro che avrebbero dovuto solamente chinare il capo e mostrare eterna riconoscenza.
Si chiudono così 17 anni di buone intenzioni, ma solo a parole, e nessun titolo. Non poteva essere altrimenti perché quando c'è stata la possibilità, se non di vincere qualcosa, almeno di provarci, la proprietà ha agito in modo quasi chirurgico per evitarlo, preferendo, in nome del fairplay finanziario e delle plus valenze, regalarci apatia piuttosto che speranze. Le stesse speranze che sentiamo di poter nuovamente cullare in questo momento, finalmente liberi.
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