Ho da sempre gioito per un gol della nazionale olandese. Per 37 volte ho gioito doppiamente. Bergkamp è stato infatti l’unico per il quale abbia, anche solo per un momento, privilegiato il singolo alla squadra e le sue 37 reti con la maglia arancione sono quelle che ho maggiormente apprezzato per la stima che nutrivo sia per l’uomo che per il calciatore. La stessa stima che gli hanno manifestato i 54.000 spettatori che, nel nuovissimo e supercostoso Emirates Stadium, hanno assistito alla sua partita di addio. La stessa stima che per lui hanno nutrito tutti i compagni di un passato più o meno lontano che hanno voluto esserci ad ogni costo. E infatti c’erano proprio tutti in questa sfida tra Ajax e Arsenal: i giocatori attuali (per la cronaca Huntelaar ha realizzato il primo storico gol dell’impianto), i compagni dell’Arsenal Seaman, Wright, Vieira, Henry con i francesi che hanno interrotto le vacanze in America per essere presenti, i compagni dell’Ajax e della nazionale Van der Sar, Blind, Jonk, Overmars, i fratelli De Boer fino a Rijkaard, Van Basten e addirittura a Cruijff. Tutti insieme per salutare con grande amicizia e rispetto colui che molti di loro non hanno esitato a definire "il miglior calciatore col quale abbia mai giocato".
Sono passati quasi vent’anni dall’edizione 86-87 della coppa delle Coppe quando lo vidi diverse volte, allora diciottenne, entrare a partita in corso. Dovendo adeguarsi ai rigidi schemi del 4-3-3 giocava come ala destra ma ben presto Van Gaal capì che per quel giocatore erano gli schemi a dovere essere cambiati. Gli disegnò allora il ruolo di "shadow striker", l’attaccante che si muove dietro alla prima punta con libertà di svariare su tutto il fronte offensivo. In quel ruolo ha finito per giocare per tutta la carriera divisa tra Ajax (fino al 93) e Arsenal con la parentesi dei due anni all’Inter durante i quali fu penalizzato, oltre che da un carattere che poco si addiceva all’esasperazione con cui è vissuto il calcio in Italia, da un impianto di gioco molto difensivo e per nulla adatto alle sue caratteristiche.
Fu una scommessa di Bruce Rioch, allora manager dell’Arsenal, a portarlo oltremanica nel 95 all’allora cifra record di 7.5 milioni di sterline con l’intento di farne il primo tassello di una squadra che avrebbe dovuto privilegiare un calcio più tecnico a quello classico inglese. Cominciò allora per Bergkamp un decennio di successi sia a livello di squadra, anche se limitati a livello europeo dalla sua fobia per il volo, sia, soprattutto, a livello personale, sempre circondato dall’affetto dei tifosi che puntualmente ripagava con giocate sopraffine e reti memorabili.
Fu una scommessa di Bruce Rioch, allora manager dell’Arsenal, a portarlo oltremanica nel 95 all’allora cifra record di 7.5 milioni di sterline con l’intento di farne il primo tassello di una squadra che avrebbe dovuto privilegiare un calcio più tecnico a quello classico inglese. Cominciò allora per Bergkamp un decennio di successi sia a livello di squadra, anche se limitati a livello europeo dalla sua fobia per il volo, sia, soprattutto, a livello personale, sempre circondato dall’affetto dei tifosi che puntualmente ripagava con giocate sopraffine e reti memorabili.
In nazionale esordì nel settembre del 90 dopo il fallimentare mondiale italiano e da allora è stato titolare inamovibile fino al suo ritiro avvenuto al termine dell’Europeo del 2000. Ha partecipato a cinque grandi manifestazioni con l’Olanda che ha sempre centrato, come minimo, i quarti di finale e per ben quattro volte è stata eliminata ai rigori. Una serie di mancate vittorie che gli ha impedito di essere consacrato a livello internazionale come avrebbe meritato. Ciò nonostante il pallone d’oro del 92 gli fu letteralmente scippato e quello del 93 quasi (per non parlare della splendida stagione 97-98 che non venne quasi presa in considerazione) come se la sua serietà, il non essere mai polemico, la sua tendenza a defilarsi per non essere al centro dell’attenzione fossero considerati difetti tali da non permettergli di primeggiare come calciatore.
Nessun premio, vittoria o statistica (oltre 100 reti sia in Eredivisie che in Premiership) sarebbe tuttavia in grado di descrivere il giocatore Bergkamp, il suo talento, la sua intelligenza calcistica, quell’istinto che gli permetteva di capire una situazione prima di qualsiasi altro, quasi che la sua abilità non risiedesse tanto nei piedi quanto nella testa. Un giocatore vero che per gli inglesi è stato via via "Iceman", "The King", "Mr Class" e che, proprio con la classe che l’ha contraddistinto in tutta la carriera, ha deciso di salutarci, in una vera serata di gala, sull’erba di uno stadio avveniristico che non potrà però vantarsi di vederlo protagonista.
Nessun premio, vittoria o statistica (oltre 100 reti sia in Eredivisie che in Premiership) sarebbe tuttavia in grado di descrivere il giocatore Bergkamp, il suo talento, la sua intelligenza calcistica, quell’istinto che gli permetteva di capire una situazione prima di qualsiasi altro, quasi che la sua abilità non risiedesse tanto nei piedi quanto nella testa. Un giocatore vero che per gli inglesi è stato via via "Iceman", "The King", "Mr Class" e che, proprio con la classe che l’ha contraddistinto in tutta la carriera, ha deciso di salutarci, in una vera serata di gala, sull’erba di uno stadio avveniristico che non potrà però vantarsi di vederlo protagonista.